Piero Amerio, professore emerito di psicologia sociale all’Università di Torino, ha raccolto una grande collezione di rose botaniche ed antiche nel Roseto della Sorpresa, situato tra le colline dell’Astigiano e del Monferrato. Nel volume (con prefazione di Ernesto Ferrero) racconta le storie di queste rose, in un percorso che va dal mondo classico a quello medievale e rinascimentale sino alla grande stagione dell’Ottocento, con ricchissimi riferimenti storici e culturali, tra scienziati, poeti, artisti e coltivatori.
Un racconto affascinante ed un prezioso strumento di consultazione.
Un volume di 200 pagine.
200 illustrazioni a colori.
Formato 21×27
Dalla prefazione di Ernesto Ferrero:
Questo libro di Piero Amerio non ha bisogno di una presentazione, perché è chiaro, esplicito e trasparente nei suoi intenti e nella sua struttura, bilanciato com’è tra storia e botanica, autobiografia e oggettività, riferimenti culturali e informazioni scientifiche, piacere della narrazione e scheda tecnica, mito e simbolo. La passione e la competenza del suo autore, prima ancora di fissarsi sulla carta, si sono materializzate da tempo in quel Roseto della Sorpresa, sulle dolci colline del Monferrato, che è fonte di delizie e consolazioni inenarrabili per lui, per chi lo sostiene e per gli amici in visita.
Se ho accettato di scriverne, è per testimoniargli la nostra simpatia, ammirazione e gratitudine. Il plurale comprende mia moglie Carla, anche lei fervente cultrice di rose, dalle cui conoscenze mi sento garantito, ma credo di poterlo allargare anche gli estimatori del Roseto, i quali troveranno in queste pagine gli approfondimenti che costituiscono il naturale complemento e completamento delle loro frequentazioni. Tanto meno avrebbe bisogno Piero di certificazioni sul versante della scrittura, perché accanto alla sua ben conosciuta e apprezzata attività di psicologo sociale ha coltivato una notevole vena poetica che lo situa grosso modo in un’area post-montaliana. Si leggano in proposito le pagine assai fini che Giorgio Ficara gli ha dedicato ad apertura della raccolta Veglia nell’età con paesaggi (Magma, Napoli 1999). In quel libro non potevano mancare versi dedicati alle rose e all’amata nipote Viola: «Già gonfi i bocci delle centifoliae/ e l’intravisto porpora/ tra le crestine delle galliche,/rose pesanti piegate dalla pioggia/ di stagione infida…»
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Viaggiando con la rosa possiamo risalire fino alla Cina, e di là seguire il cammino delle carovane verso Occidente, magari con puntate francamente imprevedibili, come quella in Abissinia, come è avvenuto per la cosiddetta Rosa Sancta, che pare vi sia stata portata dall’apostolo fenicio San Frumenzio. Non solo: la rosa ha il posto di rilievo che sappiamo nelle arti figurative e in letteratura, nelle culture d’ogni civiltà, nell’iconografia religiosa, perché il ventaglio di opzioni simboliche che offre è sterminato, nel campo del sacro come in quello del profano. Prima ancora di essere raccontate, le rose raccontano, e la loro stessa antichità è garanzia di meraviglia.
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In compagnia di Amerio, sul palcoscenico del teatro della rosa ritroviamo una variopinta quantità di attori o agenti: scienziati, botanici, pittori, scrittori, viaggiatori, coltivatori, devoti e, appunto, collezionisti agitati dal demone della completezza. Ogni volta è un tuffo al cuore ritrovare una rosa in Teofrasto, Ovidio, Virgilio, Apuleio, Dante o in Shakespeare. È l’emozione che provano gli archeologi quando riportano alla luce uno di quei reperti che cambiano la storia di una civiltà, e in quell’istante dimenticano le fatiche dello scavo. È come accogliere messaggi in bottiglia che hanno viaggiato per secoli; è ritrovare le emozioni e gli incantamenti di fratelli persi nelle sabbie dei millenni.
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